Non è stato un aneurisma celebrale la causa della morte di
Mattia Debertolis, ma un colpo di calore, smentendo le prime notizie che erano
giunte nei giorni scorsi dalla Cina e che noi avevamo riportato. E’ una
precisazione che ci ha voluto fornire la
collega Anna Pradel, anche lei in gara a Chengdu. Questi i dettagli che
Anna Pradel ha voluto inviarci testualmente: “ Temperature che hanno toccato i 43 gradi con
un'umidità molto alta, tracciato più lungo del previsto per una gara middle,
tosto perchè si correva nelle ore più calde della mattina, molti sono arrivati
stremati dal caldo all'arrivo, nella categoria maschile solo 28 atleti su 40
sono arrivati al traguardo”.
Quello che comunemente è chiamato colpo di calore, clinicamente è definito ipertermia un evento che colpisce e causa la morte mediamente nella sola Europa fra le 50 e 60.000 persone all’anno.
Intervenire per tempo è fondamentale per evitare gravi complicazioni a livello di organi come il cervello, il cuore, i reni e i muscoli. Nei casi più gravi può portare al decesso. Una delle possibili complicazioni è, infatti, lo shock causato da un’improvvisa riduzione della pressione arteriosa.
Oltre la causa della scomparsa di Mattia, rimane l’immenso dolore per una vita stroncata a solo 29 anni, la sua mamma Erica ha trovato la forza di offrirci un ricordo di suo figlio che è stato pubblicato sul sito della Fiso e che vi riportiamo:
“Me lo ricordo peril sorriso dei suoi occhi, sempre felice. Fin da piccolo amava qualsiasi sport.Alle elementari è stato introdotto all’orienteering grazie al maestro Renzo De Paoli, il quale insegnava geografia all’aperto attraverso mappa e bussola. Molti suoi scolari si sono appassionati all’Orienteering grazie a questo metodo. Mattia ha praticato sci nordico come fanno tutti i Debertolis della valle. Si èdedicato anche alla discesa, con il fratello Nicolò, grazie al nonno Rinaldo Zagonel, maestro di sci e guida alpina e allo zio Piero Zagonel, anche lui maestro di sci, che li portava a praticare il fuori pista. Con l’US Primiero, oltre ‘l Orienteering, ha giocato a calcio.
Insomma, in qualsiasi sport lui era bravo. Ci metteva passione, come a scuola. Bravo studente, mai un problema, fino a conseguire la laura in Ingegneria Civile a Trento, la Magistrale a Stoccolma, fino a vincere il dottorato nella Capitale svedese con un contratto di 5 anni, dove viveva abitualmente. Un bel carattere, era benvoluto da tutti. Quandotornava a casa, era sempre pronto ad aiutarmi in albergo o a supportare papà Fabio e nonno Anselmo, nella stalla.
Ritornava tra le sue montagna, indossando orgoglioso i calzini preparati dalla nonna Delia e incontrando i tanti zii e cugini della nostra numerosa famiglia.
Alle superiori scelse l’orienteering come suo sport principale, assieme all’amico di sempre Riccardo Scalet. All’università ha trovato Jessica, sua compagna di vita. Ingegnere ed atleta nazionale di orienteering come lui. Una coppia in simbiosi. Assieme hanno raggiunto risultati di altissimo livello.
Era determinato a raggiungere i massimi livelli mondiali, per questo negli ultimi due anni si era trasferito al PWT Italia. Lo ricordo felice delle sue scelte di vita sportive e professionali”.
Erica Zagonel