21 Giugno
In altra data abbiamo parlato delle "dalmede", le tipiche calzature molto in uso in passato.
Ogni persona, oltre a queste, possedeva anche un paio di pantofole, necessarie per il fatto che le dalmede erano importabili in casa, soprattutto per il frastuono che facevano.
Scarpe de peza erano chiamate soprattutto a Fiera, pocie a Transacqua e Tonadico, ma anche a Caoria, zavate a Mezzano ed Imer, zampe a Canal San Bovo; non si deve però tenere rigidamente delimitata questa distinzione di vocaboli.
I scarpet erano e sono le pantofole di Mis e Sagron, solitamente di velluto nero.
In quanto agli stinfi originari, come dice il dizionario Primierotto, della Carnia ed entrati in Primiero attraverso il Cadore e l'Agordino, si riferisce ad una specie di calzaroti, i stinfoti indossati soprattutto dai bambini a letto, o dalle persone anziane.
Gli stinfi erano anche una specie di calza gambaletto con la suola grossa di panno e di canapa alternati che servivano in casa per i bambini.
Le zavete e pocie che dir si voglia erano a volte un capolavoro delle mani femminili.
Il lavoro più pesante consisteva nel trapuntare la suola composta di strati di stoffa di lana e di tela di canapa con la gaveta che è un robusto spago sottile di canapa che, nel passato lontano, si preparavano le stesse donne, e di orlarla con il cosidetto dentel.
Era un lavoro di ago, ditale, di pinza o tenaglia necessaria per far passare l'ago attraverso la suola che diventava consistente, dura e grossa circa un cm. Le tomaie di frequente venivano preparate da qualche donna specializzata che le sapeva tagliare e cucire bene, foderandole di un bel puntale di velluto, rinforzandole nel calcagno ed orlandole di fettuccia colorata di origine austriaca.
Anche attaccare la tomaia della suola era lavoro di una certa maestria, ma molte delle nostre nonne si erano veramente ammaestrate e le più abili usavano un robusto gardolo di tela con lo stesso procedimento, usualmente per le donne, si confezionavano le zopele de peza che precorsero quelle che offrì poi il mercato, di cuoio duro e, più tardi ancora quelle con le suole fatte con i pezzi di copertone di gomme, etc.
Dal libro "Vita Primierotta nei suoi costumi, tradizioni e leggende", di Corrado Trotter.