25 Agosto 1971
Così don Stefano Fontana, uno dei maggiori storici della nostra Valle descrive la zona di Calaita.
Integralmente da "Voci di Primiero":
"Sul fianco sinistro del torrente Lozen, vicino alle sue sorgenti (Pisorno) una robusta morena glaciale chiuse l'uscita delle acque piovane che colle sorgive alimentano un ameno laghetto, metri 1605, e salvò la notissima conca verde e pianeggiante chiamata Calaita, fiancheggiata dal selvoso Colsanto, e dal boscoso Cimon, gradatamente invasa dal bosco avanzante.
Si estende fino alla forcella sul versante del Cismon, e a chi arriva da ambo i lati compare improvvisa e inaspettata e introduce nella quiete, che pare nata a servir da eremo ad anime sitibonde di isolamento, che la è totale.
Tuttavia ebbe la sua parte fino dai primordi della nostra storia.
Nel 1474 era sorta differenza tra Canalini e Sirori per i limiti di un "armentarezo". Una commissione radunata sul colle di Agareda esaminò e sancì per mezzo del capitano Leonardo di Montebello i confini ricalcati su un documento del 1272, dove aveva deciso il pievano Giovanni da Transacqua, in cui si accennava a confinazioni ancora più antiche.
Una si bella spianata erbosa non poteva essere trascurata e più folte fu infeduata per secoli a diversi e più tardi divisa in particelle e falciata.
Un tabiadon ne custodiva il raccolto nell'inverno condotto a Valle.
Vita movimentata nei mesi della fienagione anche tra i Canalini che sul pendio del Cimon raccoglievano foraggio eccellente.
In seguito la acquistò il comune aggregandola alla malga doc, ed essa ritornò nel silenzio rotto solo talora dal campanacci di mandrie pascenti.
Ora viene riposta sul tappeto per farla anello di congiunzione turistica tra Canale e San Martino attraverso il magnifico valico: e sta bene; la località verrà valorizzata da un comodo e frequentato turismo, che darà a molti facile possibilità di ammirare in modo singolare le Pale da San Martino al Piz de Sagron, le Vette Feltrine oltre praterie e i paesi di fondivalle.
E prodromo di quest'epoca un lindo alberghetto costruito da gente nostra in riva al lago.
Ma la schietta poesia di un tempo in cui l'uomo si sentiva richiamato dalle attrattive naturali senza disturbi e intrusioni e notava più chiara la presenza divina nel concerto dell'universo, potrà cadere nella freddezza e nell'indifferenza.
Dall'orlo orientale il ciglio non scende omogeneo verso i Dismoi, ma dopo un centinaio di metri si allarga a mo di gradino o terrazza, in un bel prato detto Coradella: un soggiorno ideale, in cui chi scrive per più anni passò diversi mesi e ne serbò un ricordo incancellabile.
Si saliva col bestiame che la neve non era ancora totalmente sciolta, varie tacche apparivano nei pusterni; la terra era brulla, ma pian piano il sole la risvegliava , cominciava il verde crescente di un'erba rigogliosa.
Poi una smagliante comparsa di delicati fiori silvestri che incantava l'occhio con la sua magnificenza e varietà. E fuori dal prato cespugli e rododendri, in alto nigritelle profimate e distese di arniche medicinali.
Ma la vita era portata dagli uccelli dal gallo forcello al cedrone, la poiana col suo lamento, il falchetto equilibrista che piomba sulla preda adocchiata.
I canori però formano la musica: tordi, merli, codirossi, specialmente le graziose cince "pizzaghè", dalla testa bianca e nera colla loro caratteristica melodia riempivano giulive i rami dei loro rapidi volteggi.
Anche il verso del cuculo riusciva gradito, gli scoiattoli snelli saltavano da un ramo all'altro.
Qualcuno anche da fuori saliva fin lassù a collocare lacci di frodo.
Persino la notte limpida e stellata attirava la nostra attenzione e ne studiavamo le principali costellazioni, cercando di individuarle.
Finalmente bisognava discendere, abbandonare un'acqua proverbiale per la sua bontà e leggerezza, sgorgata tra il crescione, che liberava da ogni ingombro di stomaco.
Un po' inselvatichiti, abbronzati ma paffuti e robusti facevamo "come il villan quando s'inurba", ci impressionava il camminare su un pavimento di legno tra l'eco del portico in mezzo a comodità, ma quei luoghi chiusi parevano mozzare il fiato.
La natura in alto era piena d'attrattiva e di liberta e legava il nostro sentimento alla terra, non a quella che rende schiavo l'uomo, ma a quella che con tutto il creato, animato e inanimato, esalta le lodi del signore, al quale lassù ci sentivamo tanto vicini.
L'anima era rimasta là in quell'orizzonte sconfinato cogli scoiattoli, le cince, i rododendri profumati".